Chi non ha mai giocato a staffetta passando il testimone?! Uno inizia a correre con il testimone in mano e lo passa all’altro. Può succedere che uno corre più veloce di un altro, ma a vincere è la squadra. Un’immagine, una dinamica che può aiutarci a comprendere il gioco di squadra trinitario: il passaggio del testimone dal Padre al Figlio, allo Spirito Santo. Una bella squadra che dalla creazione si passa di mano in mano l’esistenza dell’uomo per salvarlo, per arrivare alla vittoria, per far sì che entri vincitore nella squadra. È solo un’immagine, ma è ciò che la liturgia continuamente ci offre, in particolare in questi giorni.
Gesù lascia il testimone allo Spirito Santo
Lo Spirito donato dalla Croce. Il vangelo di Giovanni, infatti, ci dice che Gesù “spirò”, che significa “diede l’ultimo respiro”, ma che nel suo linguaggio ha anche un altro significato: “emise lo spirito”. Per l’evangelista l’ultimo respiro di Gesù fu il primo respiro della comunità dei discepoli. Lì sotto la Croce nasce la Chiesa. E proprio nella sera di Pasqua, Gesù Risorto conferma questa presenza dello Spirito Santo dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,22). Gli Atti degli Apostoli, che raccontano gli inizi della Chiesa, si aprono con questa promessa di Gesù: “Tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo…” (At 1,5).
Le ultime parole di Gesù prima dell’Ascensione, prima cioè di andare anche con il suo corpo in seno al Padre, sono l’esplicitazione di questa promessa: “Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8). È ancora una promessa che si compirà il giorno di Pentecoste, una festa già in uso nella tradizione ebraica, chiamata la festa delle Capanne, che si celebrava cinquanta giorni dopo la Pasqua.
Lo Spirito Santo consegna agli apostoli il testimone
Gli apostoli, con alcuni discepoli e Maria, la madre di Gesù, si trovavano “tutti insieme nello stesso luogo”. Erano riuniti in preghiera, timorosi che quanto accaduto a Gesù accadesse anche a loro, ma anche desiderosi di attendere ciò che aveva promesso il Maestro: quella forza interiore che li avrebbe resi testimoni. E lo Spirito Santo “venne all’improvviso, dal cielo, con fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, riempiendo tutta la casa dove stavano.
Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (At 2,3-4). C’era molta gente a Gerusalemme in quei giorni, abitanti di tutte le terre, allora conosciute, e questo evento fu percepito da tutti e si chiedevano cosa stesse succedendo: “E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?”. “Chi dà loro questo potere?”. “Sono forse ubriachi?”.
Ciò che Gesù aveva promesso si stava compiendo, si compie in ogni Pentecoste. La vita divina di Gesù, le sue parole, la sua testimonianza del Padre, è trasmessa come una linfa nuova nella vita di quel primo gruppo di apostoli e discepoli così incerti, dubbiosi, paurosi e ne fa uomini e donne nuovi che con coraggio affermano e testimoniano la verità, la vita nuova che Gesù era venuto a portare. Lo Spirito Santo scende e consegna loro il testimone: li rende persone capaci di amare, di amare per primi, di fare il primo passo verso l’altro.
Lo Spirito Santo ci rende squadra
L‘evangelista Luca negli Atti degli Apostoli descrive la prima comunità cristiana dopo la Pentecoste: “Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (At 2,44-47).
Possiamo dire che lo Spirito Santo viene e ci rende squadra, nuova comunità, fratelli, luogo della sua Presenza. Un papà ci diceva: “Sono una persona nuova; ho lasciato il vizio del gioco e mi dedico di più alla famiglia. Desidero amare e far conoscere il Signore ai miei amici”. “Per aiutare gli ammalati che non possono uscire di casa, ho scelto di andare in farmacia per loro” (anonimo). Gemma ci condivideva: “Da anni ero in conflitto con una vicina di casa, ho capito che dovevo riconciliarmi con lei”. “Nel momento del bisogno ho sperimentato l’essere famiglia attraverso la vicinanza di tanti e l’aiuto concreto ricevuto” (anonimo). Tutte espressioni del testimone dell’amore che passa di mano in mano.
L’essere insieme dà una forza e un’audacia che è sconosciuta a chi è solo. La diffidenza verso l’altro cede il passo al bisogno di amicizia e di appartenenza, di relazioni nuove tra gli uomini, dove costantemente il “testimone” continua la sua corsa.