La più grande tristezza dell’uomo è non credersi e non sentirsi amato, arrivare a dubitare dell’amore e non poter contare sulla certezza che qualcuno gli voglia bene. Da questo nascono tutti i nostri problemi, difficoltà e anche malattie. È importante, allora, che ciascuno domandi a sé stesso: “Mi sento amato da qualcuno? Sono in grado di dare un nome a colui che mi ama? La persona che mi è accanto mi vuole veramente bene? Il suo amore per me ha resistito al mio tradimento, alla mia lontananza?”.
Nell’epoca della globalizzazione, delle migrazioni a tutte le latitudini, nell’era in cui l’uomo non vuole frontiere, ma quotidianamente alza barriere; nel tempo in cui egli vive un complesso di onnipotenza che gli fa dichiarare la sua autonomia onnipotente, nonostante si ritrovi chiuso in una corazza di paure e insicurezze, possiamo dire con tutta sicurezza che esiste un antidoto: la vita di relazione, dare priorità a relazioni vere, scegliere il “mai senza l’altro”.
La relazione autentica, a cui diamo il nome di comunione, nel mondo di oggi è paradigma di una nuova antropologia, di una nuova sociologia e possiamo dire anche di una nuova ecclesiologia, già auspicata dal Concilio Vaticano II: “La Chiesa universale si presenta come «un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (LG 4). Ogni uomo, ogni popolo, ogni società sono chiamati a riconoscere nell’alterità di ogni “tu” una via imprescindibile per un’esistenza sostenibile. In particolare i cristiani sono chiamati ad offrire relazioni di comunione per un nuovo paradigma culturale e sociale, che passa attraverso il riconoscimento che in ogni “tu” è presente Dio: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato” (Mc 9,37).
Il bisogno di primato, la ricerca forsennata della perfezione, dell’eccellenza, la lotta per il superamento di ogni limite in realtà imprigionano l’uomo nella competizione, nell’ansia e nella depressione, in una solitudine lacerante in cui non c’è posto per l’altro, il diverso, lo straniero, il piccolo, in cui non c’è posto per la debolezza e per la fragilità. Stiamo costruendo un mondo di supereroi, di robot perfetti capaci di superare i limiti imposti dalla natura umana, e ben venga che le nuove tecnologie aiutino ad abbattere barriere e a superare gli ostacoli. Ma “mai senza l’altro”. L’uomo e la donna non possono prescindere nella loro crescita e nel loro equilibrio dalla relazione autentica, da un amore capace di sostenerli nelle esperienze più dolorose della propria vita, nella condivisione dei momenti più gioiosi… Così, come non possiamo considerare “scarto” chi supereroe non è in grado di essere, ma al quale dobbiamo riconoscere la stessa dignità regale riservata ad ogni uomo.
Allora è importante per ciascuno lasciar riaffiorare alla coscienza la percezione di essersi sentito amato, far memoria del suo incontro con l’Amore, e per questo essere capaci di rispondere all’Amore, a quel “Tu” che ritroviamo accanto in ogni momento della nostra vita, anche quando siamo soli e ci sentiamo umanamente abbandonati o falliti, un “Tu” che ci spinge a cercare, a fare, a desiderare l’esperienza di incontro con un Dio Famiglia, un Dio Trinità. Un Dio, che proprio per essere tale è “Mai senza l’Altro”, un Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo; un Dio, appunto, famiglia.