4 febbraio Giornata Mondiale della Fratellanza Umana
La fratellanza è un sentimento che accomuna persone che non sono fratelli ma che nonostante ciò si sentono comunque tali, accomunati da delle aspirazioni, ideali e dal comune sentimento che esprimono con azioni di solidarietà e generosità, con gratuità.
Questo sentimento, quindi, non è di disuguaglianza e non porta chi esprime la solidarietà ad essere in posizione di superiorità verso chi si trova in condizioni sfavorevoli e umilianti, ma permette la parità tra individui che provengono da classi sociali, culture e luoghi diversi.
Il 4 febbraio 2019 Papa Francesco e l’Imam, di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb firmano la Dichiarazione di Abu Dhabi, un forte invito a riscoprirsi fratelli per promuovere insieme la giustizia e la pace, garantendo i diritti umani e la libertà religiosa.
“La Fratellanza è la nuova frontiera dell’umanità”: si è fratelli o nemici, altrimenti crolla tutto e ci si distrugge a vicenda. «Siamo fratelli, nati da uno stesso Padre. Con culture, tradizioni diverse, ma tutti fratelli.
E nel rispetto delle nostre culture e tradizioni diverse, delle nostre cittadinanze diverse, bisogna costruire questa fratellanza.”
Papa Francesco
L’anno successivo, il 21 dicembre 2020, l’ONU ha istituito la Giornata Mondiale della Fratellanza Umana, facendo coincidere la data con il giorno in cui avvenne la firma del documento.
Lo scorso anno, nel primo anniversario, Papa Francesco e l’Imam si sono incontrati online per celebrare insieme la Giornata. Per l’occasione si sono espressi:
«Non possiamo lavarcene le mani, con la distanza, con la noncuranza, col disinteresse. O siamo fratelli o crolla tutto. È la frontiera. La frontiera sulla quale dobbiamo costruire; è la sfida del nostro secolo, è la sfida dei nostri tempi». Anche la «noncuranza», infatti, è per il Papa «una forma molto sottile d’inimicizia. Non c’è bisogno di una guerra per fare dei nemici. Basta la noncuranza”. Ha proseguito spiegando che cosa intende per fratellanza. «Vuol dire mano tesa; fratellanza vuol dire rispetto. Fratellanza vuol dire ascoltare con il cuore aperto. Fratellanza vuol dire fermezza nelle proprie convinzioni. Perché non c’è vera fratellanza se si negoziano le proprie convinzioni». E perciò «un mondo senza fratelli è un mondo di nemici. Caro fratello Grande Imam, grazie per il Suo aiuto. Grazie per la Sua testimonianza. Grazie per questo cammino che abbiamo fatto insieme.».
Anche l’Imam Al-Tayyeb ha manifestato rispetto e riconoscenza verso il Papa, «mio fratello, amico sulla via della fraternità e della pace». E il proposito di continuare a lavorare per il resto della sua vita con Francesco e con ogni sostenitore della pace «per rendere i principi di fratellanza umana una realtà in tutto il mondo». Da qui il suo auspicio concreto che il 4 febbraio sia «ogni anno un campanello d’allarme per il mondo e per i suoi leader, che li spinga a consolidare» questi principi.
Comunità di Patrica: esperienza di fraternità con alcuni giovani profughi
“Nel novembre 2016 abbiamo accolto 9 giovani profughi: 4 bengalesi e 5 africani, in attesa di essere accolti in una cooperativa per l’inserimento. Sono arrivati di sera accompagnati dalla Caritas diocesana. Erano stremati, i loro occhi spaventati. Li abbiamo ricevuti con qualcosa di caldo nella sala da pranzo del centro missionario e poi li abbiamo accompagnati nelle stanze che avevamo preparato per loro.
I primi giorni sono stati di conoscenza, abbiamo cercato di imparare i loro nomi, ai quali non eravamo abituati, come loro hanno cercato di imparare i nostri. Uno di loro, Abdoul, per facilitare la nostra identificazione, aveva dato a ciascuna di noi l’appellativo di maman aggiungendo poi una caratteristica tipica (es. Anna = maman guitar perché suonava la chitarra, Alina maman foto, Sabine maman africa, Enrica maman lavoro, Flaviana maman sleep, perché dava la buonanotte dopo il lavaggio dei piatti serale…). Un modo simpatico per cominciare a comunicare. Le prime lezioni di italiano sono iniziate dai nomi degli strumenti quotidiani: pentola, scopa, rastrello…
Mentre aspettavamo i giovani del servizio civile che insegnavano loro italiano, infatti facevamo un’oretta di lavoro insieme: chi in cucina, chi in giardino, chi alle pulizie di casa. Pur non capendoci sempre per via delle diverse lingue, pian piano la casa è diventata anche la loro casa: sapevano ormai dove erano le cose, come apparecchiare la tavola, ecc. Gradualmente si sono sentiti famiglia con noi.
Insieme era arrivato anche Dicko, un ragazzo, mandato come mediatore, essendo da più tempo in Italia. Con lui è nata una bella fraternità costruita attraverso lo scambio, il confronto con il desiderio di voler il bene di ciascuno dei giovani arrivati. Man mano che i giorni passavano nei volti dei nostri ospiti scompariva lo spavento e la paura, per lasciare spazio alla serenità e anche ad un sorriso. Quando Dicko non c’era cercavamo di tirar fuori quel po’ di francese e di inglese che ricordavamo e anche tra loro che parlavano lingue diverse cercavano di comunicare, tra gesti, parole, e intuito… Un’esperienza di andare l’uno incontro all’altro.
I ragazzi hanno fatto di tutto per accogliere uno stile di vita diverso, abitudini a volte ben lontane dalla loro esperienza; per noi il desiderio di conoscerli, di conoscere le loro storie, le famiglie, i motivi della scelta di lasciare la loro terra, i racconti dell’esperienza del passaggio in Libia. Abbiamo fatto un cammino progressivo di ascolto e conoscenza.
Prima dei pasti pregavamo insieme e la loro preghiera era sempre di grazie sempre per l’accoglienza ricevuta.
Ci ha stupito la capacità di integrazione che hanno manifestato. Abbiamo vissuto anche qualche momento di festa insieme, in cui potessero esprimersi con le caratteristiche delle loro culture… proponendo danze e musica. Non avendo gli strumenti originali si sono abilmente arrangiati con ciò che c’era in casa: pentole, mestoli, coperchi… Un modo semplice per costruire fraternità, per accogliere le reciproche differenze.
Gradualmente ciascuno è stato accolto da una cooperativa per l’inserimento in Italia o come tappa intermedia per poi proseguire verso altri Paesi europei. Con alcuni in particolare siamo ancora in contatto: condividono con noi traguardi importanti della loro vita, cosa stanno facendo, come stanno le loro famiglie.
La Comunità ha vissuto con questi giovani un’esperienza di fraternità costruita nella quotidianità di tante piccole scelte di ascolto, rispetto e accoglienza reciproca.”
(Enrica Gandolfi, missionaria CMT)