Siamo immersi in una società dove si tende a dare sempre più valore al fare le cose insieme. Lo vediamo nel mondo del lavoro, della scuola, nei vari ambiti della vita familiare, sociale, politica, internazionale. Troppo spesso, però, il fare insieme ha come obiettivo l’efficientismo, la mera collaborazione pratica, il raggiungimento di obiettivi comuni… e questo è troppo poco per resistere alla tentazione dell’individualismo, della concorrenza, o addirittura dell’invidia, dell’odio, della prevaricazione degli uni sugli altri.
Anche la scossa data dalla pandemia verso la consapevolezza della profonda unione che siamo chiamati a vivere; anche quel grido comune “non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme: nessuno si salva da solo”, ha presto lasciato spazio agli interessi particolari. Le violenze, le guerre, diventano l’espressione più evidente e dolorosa di un anelito alla fraternità che fatica a concretizzarsi.
Già nella Evangelii Gaudium Papa Francesco, riconoscendo la fragilità delle relazioni nel mondo, a tutti i livelli, lanciava un invito universale ai cristiani: “desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa” (99). Non certo per trarne vanto, o per essere ammirati, ma per testimoniare che, ancor prima di “fare le cose insieme”, è possibile “vivere insieme”, prendendosi cura gli uni degli altri, accogliendosi reciprocamente, riconoscendosi e valorizzandosi a vicenda… per una vera esperienza di fraternità.
Successivamente, nell’enciclica Fratelli tutti, scritta dopo l’incontro fraterno di Papa Francesco con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, ribadisce la natura relazionale della persona umana: “la vita sussiste dove c’è legame, comunione, fratellanza, ed una vita più forte della morte quando è costruita su relazioni vere e legami di fedeltà” (87). E sottolinea l’intrinseca tendenza alla comunione universale, perché “l’amore esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza” (95). Fratellanza universale fondata sul riconoscersi figli di uno stesso Padre, che ama tutti e ci dice: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8).
“Ciò che era da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita […] noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi.
La nostra comunione è con il Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.”
1Gv 1,1-4
Fin dal principio c’è l’annuncio-esperienza di un Dio Famiglia, che Gesù ha mostrato, fatto toccare con mano, non solo a quanti hanno vissuto con lui, ma trasmettendo un’esperienza che attraverso la storia giunge fino a noi. La gioia di riconoscersi fratelli e di sperimentare nel quotidiano che è possibile vivere come tali, pur con tutte le fragilità e fatiche che questo comporta, è una gioia che deve essere condivisa, annunciata. Si tratta allora sì di trasmettere contenuti, ma soprattutto di creare relazioni autentiche, provocando nuove logiche di appartenenza in grado di suscitare scelte concrete, nuovi stili di vita che testimonino e contagino la vita fraterna, l’aprirsi al mondo.
La fraternità, l’accoglienza, l’amicizia, l’ascolto, nel rispetto della libertà dell’altro e della sua storia, dischiudono ad ogni altro la propria “casa”, la propria interiorità, la propria comunione. La consegna di ciò che noi abbiamo “udito, visto e toccato”, della nostra comunione è come un invito a cena! È mangiare lo stesso pane, è sedersi alla stessa tavola della fraternità, è diventare una sola cosa. Se “scopo ultimo della missione è di far partecipare della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio” – come ricordava Giovanni Paolo II – siamo consapevoli che la Comunità è il più grande dono che possiamo offrire ai giovani, alle famiglie, a ogni uomo e donna.
La condivisione della vita, anche attraverso la possibilità di trascorrere un breve periodo nelle nostre comunità, ci ha fatto desiderare che esse siano luogo per un’esperienza di comunità e missione; nuove opportunità di convivenza con i missionari e le missionarie per giovani o famiglie che desiderino “imparare”, vivendola, la comunione e la missionarietà, la vita insieme nell’amore reciproco e la fraternità universale, nell’accoglienza del diverso e nel servizio solidale.
Una casa e scuola di umanità, casa e scuola di vita di famiglia – espressione tanto cara a Giovanni Paolo II (cfr. NMI 43) – nella quale i valori del Vangelo passino attraverso le cose più semplici, dal riordinare una camera all’imparare come stare a tavola, dall’igiene personale all’ordine nell’impostazione della propria giornata, dal lavorare insieme al giocare insieme, una scuola di comunione, dove imparare ad amare per primi, ad accogliere e a perdonare, a guardare l’altro con occhi sempre nuovi, ad aprirsi ad ogni fratello e sorella del mondo.
Essere “casa e scuola di comunione” è quanto auspicava Giovanni Paolo II all’inizio del Terzo Millennio, quale risposta alle attese profonde del mondo per “promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo dove si costruiscono le famiglie e le comunità”. Spiritualità di comunione che significa saper guardare chi ci sta accanto con lo sguardo del Padre per riconoscerlo fratello e sentirlo “come «uno che mi appartiene», per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un «dono per me», oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper «fare spazio» al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie.” (NMI 43).
Come CMT, consapevoli che la fraternità, la comunione, la solidarietà non si raggiungono una volta per sempre, là dove siamo inseriti, desideriamo offrire il nostro essere “comunità missionaria” come spazio di condivisione, di crescita insieme, con quanti desiderino vivere un’esperienza di comunità e missione, per portarla poi nel loro quotidiano.
Servizio offerto sia attraverso specifiche proposte rivolte a giovani e famiglie, sia accogliendo le richieste di quanti spontaneamente durante l’anno desiderano dedicare un po’ del loro tempo a questa esperienza. Un’opportunità per spezzare insieme il Pane della Parola, della Fraternità, dell’Amicizia e ritrovarci “fratelli tutti” nel grembo della Trinità.