La Giornata Internazionale del Migrante, che ricorre il 18 dicembre, è stata istituita nel 2000 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La scelta di questa data si deve al fatto che in quello stesso giorno di dieci anni prima nel 1990, l’organismo aveva approvato la Convenzione Internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, per prevenirne lo sfruttamento e stabilirne le condizioni minime di riconoscimento e accettazione a livello globale. A monte di questa scelta un episodio del 1972: un camion, che avrebbe dovuto trasportare macchine da cucire, ha un incidente sotto il tunnel del Monte Bianco nel quale 28 lavoratori africani originari del Mali perdono la vita. Nascosti nel camion da giorni, viaggiavano verso la Francia alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita. Una triste vicenda che nei decenni a seguire fino ai giorni nostri ha continuato a ripetersi con modalità simili o anche molto diverse tra loro.
Migrazioni: facciamo il punto della situazione
Le giornate mondiali, oltre a sensibilizzare sulla tematica scelta, sono anche un’occasione per fare il punto della situazione. L’attuale stima globale è che ci siano circa 281 milioni di migranti internazionali nel mondo relativi al 2020, ovvero il 3,6% della popolazione mondiale. La stima è in continuo aumento, se si considera che nel 1970 il dato era tre volte inferiore.
Il numero di migranti internazionali è aumentato in tutte le regioni delle Nazioni Unite, con un picco di presenze in Europa ed in Asia, che hanno ospitato rispettivamente circa 87 e 86 milioni di migranti internazionali (61% della migrazione internazionale globale).
Proprio perché il fenomeno migratorio è per natura così complesso e mutevole è difficile da inquadrare. Qui proviamo solo a fornire qualche dato e qualche notizia in più rispetto a ciò che comunemente conosciamo.
Possiamo ricordare che esistono anche le migrazioni interne: nel mondo sono 55 milioni gli sfollati interni, cioè che non escono dai confini del proprio paese. Negli ultimi 15 anni i disastri naturali sono stati la causa principale della maggior parte degli sfollamenti interni. Solo nel 2021 sono stati registrati 23,7 milioni di nuovi sfollati per cause ambientali, contro i 14,3 milioni prodotti dalla guerra. Tra i Paesi più colpiti ci sono Cina, Filippine e India. Spesso l’ingiustizia climatica e quella sociale si saldano e per sfuggire alla povertà non resta che migrare. “Non basta evitare i conflitti per risolvere la questione delle migrazioni forzate; è anche necessario imparare a convivere in maniera più sostenibile con il nostro pianeta, rovesciando l’attuale modello di sviluppo”, commenta Luca Di Sciullo, presidente di Idos.
Una realtà chiamata “l’inferno del Darién”
Possiamo allargare il nostro sguardo anche informandoci su realtà spesso non così conosciute. Ad esempio, oltre alla rotta balcanica o a quella del mediterraneo, che ci interessano da vicino, esiste una realtà chiamata “l’inferno del Darién”: si tratta di uno dei luoghi più pericolosi e mortiferi al mondo. I migranti irregolari, molti dei quali provengono da Haiti, dal Venezuela, Cuba e da stati di Africa e Asia (Camerun, Senegal, Congo e Bangladesh in testa), attraversano la pericolosa giungla lunga 160 chilometri e larga 50 alla frontiera tra Colombia e Panama per cercare di entrare negli Stati Uniti. Vanno incontro a rischi terribili e violazioni dei diritti umani, documentati dalle organizzazioni umanitarie: violenze sessuali, furti, abusi di ogni tipo, malattie e morte. Quelli che perdono la vita durante il viaggio restano lì, nella selva. Quest’anno c’è stato un record assoluto di passaggi, oltre 200.000 tra gennaio e ottobre. Quella del Darién è una rotta migratoria dove morire o “scomparire” sono parole all’ordine del giorno. Preoccupante soprattutto la situazione dei minori non accompagnati: già ad ottobre 2021 l’Unicef dava la drammatica cifra di 19.000 bambini registrati nel corridoio del Darién nel corso dell’anno. Su quante di queste persone muoiano nella selva non c’è accordo tra le autorità. Non si sa o non si vuole sapere.
Costruiamo il futuro insieme ai nostri fratelli e le nostre sorelle migranti e rifugiati
Per avere parole di speranza su un tema così complesso e discusso, proviamo ad ascoltare la voce di Papa Francesco, che nel messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (celebrata dalla Chiesa il 25 settembre), ci ricorda che anche in questi tempi tribolati “…siamo chiamati a rinnovare il nostro impegno per l’edificazione di un futuro più rispondente al progetto di Dio, di un mondo dove tutti possano vivere in pace e dignità.” E se la giustizia è uno degli elementi costitutivi del Regno di Dio, essa “…va compresa come la realizzazione dell’ordine divino, del suo armonioso disegno, dove, in Cristo morto e risorto, tutto il creato torna ad essere “cosa buona” e l’umanità “cosa molto buona.”
E ancora “Nessuno deve essere escluso. Il suo progetto è essenzialmente inclusivo e mette al centro gli abitanti delle periferie esistenziali. Tra questi ci sono molti migranti e rifugiati, sfollati e vittime della tratta. La costruzione del Regno di Dio è con loro, perché senza di loro non sarebbe il Regno che Dio vuole.” E prosegue: “Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati significa anche riconoscere e valorizzare quanto ciascuno di loro può apportare al processo di costruzione”.
Da un punto di vista sociale “Il contributo dei migranti e dei rifugiati è stato ed è fondamentale per la crescita sociale ed economica delle nostre società. Ma questo contributo potrebbe essere assai più grande se valorizzato e sostenuto attraverso programmi mirati. Si tratta di un potenziale enorme, pronto ad esprimersi, se solo gliene viene offerta la possibilità”.
Proviamo a tenere a mente queste parole quando ci troviamo accanto lo straniero, il fratello che viene da un altro paese e cultura: “La presenza di migranti e rifugiati – sottolinea Papa Francesco – rappresenta una grande sfida ma anche un’opportunità di crescita culturale e spirituale per tutti. Grazie a loro abbiamo la possibilità di conoscere meglio il mondo e la bellezza della sua diversità… Scopriamo anche la ricchezza contenuta in religioni e spiritualità a noi sconosciute, e questo ci stimola ad approfondire le nostre proprie convinzioni”.
Anche la Chiesa può ricavarne un grande beneficio. “L’arrivo di migranti e rifugiati cattolici offre energia nuova alla vita ecclesiale delle comunità che li accolgono. Essi sono spesso portatori di dinamiche rivitalizzanti e animatori di celebrazioni vibranti. La condivisione di espressioni di fede e devozioni diverse rappresenta un’occasione privilegiata per vivere più pienamente la cattolicità (universalità n.d.r.) del Popolo di Dio”.
L’appello finale è rivolto a tutti, ma soprattutto ai giovani “Se vogliamo cooperare con il nostro Padre celeste nel costruire il futuro, facciamolo insieme con i nostri fratelli e le nostre sorelle migranti e rifugiati. Costruiamolo oggi. Perché il futuro comincia oggi e comincia da ciascuno di noi. Non possiamo lasciare alle prossime generazioni la responsabilità di decisioni che è necessario prendere adesso, perché il progetto di Dio sul mondo possa realizzarsi e venga il suo Regno di giustizia, di fraternità e di pace”.
Con l’augurio che questo appello interroghi anche noi in prima persona e possa diventare una guida per chiunque si impegni ad affrontare questo tema.
Grazie per l’apertura globale a questa realtà che ci fa dire ancora una volta:”La storia non è entrata nella cultura dell’uomo di oggi e l’intero messaggio di Gesù Cristo non si è ascoltato fino in fondo”.
Grazie alla Comunità che ci offre sempre uno sguordo reale sulla vita dell’umanità.
Tino e Marta